12 Marzo 2018
di Piero De Luca - 6 marzo 2018
Per questo negli Stati Uniti esiste il Committee on Foreign Investments in the United States (CFIUS), istituito dal presidente Gerald Ford nel 1975 e presieduto dal Segretario al Tesoro. Al suo interno vi lavorano rappresentanti di 16 dipartimenti e agenzie statunitensi, tra cui i dipartimenti di, Stato, Difesa, Commercio e Sicurezza Interna. Il Comitato è responsabile della revisione di fusioni e acquisizioni estere di aziende statunitensi, analizzando le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri nell’economia americana, ed in particolare in taluni specifici settori strategici, tra cui la sicurezza, la tecnologia, le telecomunicazioni, le infrastrutture e l’energia.
Quindi se il CFIUS determina che una transazione pone rischi per la sicurezza nazionale, può imporre requisiti all’accordo per mitigare il rischio, o in alternativa riferire al Presidente che ha l’autorità per bloccarla.
Il Comitato ha il potere di avviare l’esame di un’operazione a seguito della notifica volontaria da parte degli investitori oppure dopo aver ricevuto una segnalazione da parte di terzi. A questo punto ha 30 giorni per autorizzare l’operazione oppure intraprendere un’indagine. In quest’ultimo caso, il CFIUS ha ulteriori 45 giorni per decidere se autorizzare o negare la transazione.
Ogni anno, il Comitato redige e pubblica una relazione in cui individua le aree su cui ha concentrato maggiormente il proprio controllo.
Una delle ultime operazioni ad essere stata bloccata, riguarda il tentativo di un fondo cinese di acquisire la Lattice Semiconductor Corporation, società statunitense specializzata nella produzione di dispositivi logici ad alte prestazioni.
Per far fronte al crescente pericolo di acquisizioni estere di settori strategici, soprattutto cinesi, lo scorso novembre è stata introdotta da membri bipartisan della Camera e del Senato degli Stati Uniti, la Foreign Investment Risk Review Modernization Act (FIRMMA).
Secondo la normativa vigente, il CFIUS interviene laddove un investitore straniero acquisisce il pieno controllo di un’impresa operante negli Stati Uniti. I critici dell’attuale legislazione suggeriscono che anche se alcune transazioni (in particolare nel settore dell’alta tecnologia) non determinano un pieno controllo straniero di un’impresa, la stessa debba comunque essere posta sotto il controllo del CFIUS. Questo perché la tecnologia può comunque essere condivisa facilmente con un paese straniero.
Se la FIRMMA diventasse effettivamente legge, verrebbero introdotte nuove categorie di transazioni che sarebbero soggette alla giurisdizione del CFIUS. In particolare si renderebbe necessaria una revisione per:
- i trasferimenti di proprietà intellettuale ad un’impresa straniera attraverso una joint venture o qualsiasi altro accordo, di società operanti nel settore dell’alta tecnologia;
- le acquisizioni di società attive nei settori tecnologici ed infrastrutturali critici, che consentano l’accesso a informazioni tecniche riservate o a dati finanziari non disponibili ad altri azionisti;
- l’acquisto o la locazione di immobili, in prossimità di installazioni militari o ad altre strutture ritenute di importanza strategica.
Alcuni sostengono che una legislazione più stringente sia contraria alla promozione americana del libero commercio. Potrebbe essere vero, ma è pur vero che il capitalismo guidato dallo stato cinese rende difficile distinguere le imprese private da quelle di proprietà statale.
Inoltre, la Cina è sembrata finora poco incline a consentire investimenti esteri privati in molti settori chiave della sua economia.
Pechino è stata anche esplicita in merito alle sue aspirazioni di dominio tecnologico. Lo sforzo del governo cinese per diventare leader globale in campi d’avanguardia come auto elettriche, intelligenza artificiale, robotica e altre cruciali tecnologie del futuro è ormai evidente. Il trasferimento di tecnologie diviene perciò una questione nevralgica, da un lato, per gli obiettivi di sviluppo di Pechino e, dall’altro, per la difesa e la sopravvivenza dell’industria statunitense.
Articolo originariamente apparso su Formiche.