Ateneo

Le ragioni strategiche dello strike americano sulla Siria

Quali sono le ragioni profonde che hanno indotto gli Stati Uniti a optare per lo strike sulla Siria in tempi così rapidi dopo l’attacco chimico di Duma?

16 Aprile 2018

di Gabriele Natalia

Come spiegato da Alessandro Colombo in “Tempi decisivi”, le crisi svolgono la funzione di svelare le verità che si celano all’ombra del confronto tra gli stati. Il bombardamento ordinato dalla Casa Bianca, oltre alla volontà punitiva nei confronti di Bashar al Assad, è sembrato volto più che altro alla ricerca di un effetto “smascheramento”. L’obiettivo, per il momento, è stato ottenuto.

A essere smascherati sono stati, anzitutto, i reali rapporti di forza tra l’America e i suoi rivali strategici. Nonostante la diatriba sul numero dei missili tomahawk intercettati dai russi, è emerso ancora una volta che quando i nodi della politica internazionale vengono al pettine e si passa dalla guerra “sotto altre forme” al ricorso diretto alla violenza nessuno – neanche Mosca – è nelle condizioni di sfidare Washington. La sostanziale passività della Russia, inoltre, svela il fatto che il suo impegno in Siria non abbia quale suo obiettivo prioritario né la salvezza del regime baathista, né la lotta allo Stato Islamico, ma la preservazione delle sue posizioni strategiche a Tartous e Latakia. D’altro canto, viene svelato anche il peso specifico in campo militare dell’Iran. Il contributo di Teheran è stato determinante per la riconquista di alcune importanti città siriane, ma risulta ininfluente quando dalla dimensione terrestre dei combattimenti si passa a quella aerea. Infine, il bombardamento lancia un monito a Damasco. Riafferma, infatti, la disponibilità degli americani al ricorso alla forza quando le “linee rosse” tracciate da Washinton vengono superate, a differenza di quanto accaduto nell’estate del 2013 con l’Amministrazione Obama. Questa dimostrazione potrebbe dissuadere per il momento Assad a realizzare la riconquista del settore nord-est della Siria in mano alle milizie curde.

Il secondo “smascheramento” riguarda i rapporti tra gli Stati Uniti e i loro alleati. Il sostegno fornito da Gran Bretagna e Francia, da un lato, rafforza ulteriormente la special relationship tra Washinton e Londra, una scelta obbligata per Downing Street dopo la Brexit; dall’altro, evidenzia il nuovo corso dei rapporti tra la Casa Bianca e l’Eliseo, al di là delle differenze personali di stile e cultura politica di Trump e Macron. Allo stesso tempo mette a nudo la verità rispetto a due alleati come Israele e Turchia, che negli ultimi anni hanno assunto posizioni quanto meno ambigue nei confronti della Russia. Sia Gerusalemme che Ankara hanno assunto pubblicamente una posizione favorevole allo strike, che resterà da vedere se potrà modificare il corso delle loro relazioni con Mosca.

Dalla prospettiva italiana, invece, almeno per una volta l’assenza di un governo con “pieni” poteri sembra essere una fortuna (a dispetto di quanto dichiarato dal presidente della Repubblica Mattarella). L’interesse dell’Italia è quello di evitare la degenerazione dei rapporti tra Stati Uniti e Federazione Russa, che metterebbe in crisi l’equilibrismo politico che vuole Roma da sempre alleata di Washington, ma con ottimi rapporti con Mosca, per compensare la sua debolezza in sede europea. Un ulteriore peggioramento delle relazioni tra le due potenze ci costringerebbe a una scelta, che non è difficile immaginare sarebbe quella del campo occidentale qualunque sia il nuovo esecutivo. Ma, per l’appunto, il governo ancora non si è formato e l’Italia si può permettere il lusso di non decidere.