04 Aprile 2019
Da Formiche.net
L’esperienza della Nato sembra discostarsi rispetto al normale ciclo di vita delle alleanze. E, allora, quali sono le ragioni che spiegano tale longevità? L'intervento di Gabriele Natalizia, Sapienza Università di Roma, e Lorenzo Termine, Centro studi Geopolitica.info
Dopo la fine della Guerra fredda in molti si chiesero se la Nato avrebbe resistito all’urto del tempo. La storia, infatti, insegnava che le alleanze si dissolvono non appena il nemico in funzione di cui nascono viene meno. Era accaduto per gli Alleati dopo il secondo conflitto mondiale quando Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica, una volta sconfitta la Germania nazista, erano tornati a guardarsi con sospetto. Scavando nel tempo, non fu differente la sorte della coalizione di Austria, Inghilterra, Russia e Prussia dopo la vittoria su Napoleone nel 1815. Si era assistito alla stessa dinamica anche tra i confini di uno stesso Stato: in Cina comunisti e nazionalisti erano riusciti a consolidare un fronte unito contro il comune nemico giapponese, ma dopo il 1945 l’alleanza non era sopravvissuta.
L’esperienza della Nato sembra discostarsi rispetto al normale ciclo di vita delle alleanze. E, allora, quali sono le ragioni che spiegano tale longevità?
1. Perché il Patto Atlantico non stabiliva la nascita di un’alleanza contro l’Unione Sovietica, ma sanciva il principio della difesa collettiva contro un molto più generico “attacco esterno” nei confronti dei territori dell’Europa e dell’America settentrionale. Questa previsione confuta, peraltro, gli argomenti di quanti, dopo il collasso dell’Impero sovietico, hanno previsto – o auspicato – lo smantellamento della Nato (tra cui anche il presidente russo Vladimir Putin);
2. Perché la Nato è un’alleanza eccezionale rispetto al passato in virtù della sua elevata “istituzionalizzazione”. La sua natura di organizzazione, infatti, da un lato ha facilitato i rapporti tra gli alleati e favorito la coerenza degli obiettivi anche dopo la fine della Guerra fredda, dall’altro le ha fatto sviluppare un naturale istinto all’autoconservazione;
3. Perché la Nato è un’esperienza di successo e, come scrisse Edward Carr, nella politica internazionale “nulla ha più successo come il successo stesso”. L’Alleanza Atlantica non solo ha agito da principale bastione e deterrente nei confronti del Patto di Varsavia, risultando tra i protagonisti della vittoria della Guerra fredda. Dopo il 1989-1991, infatti, ha dimostrato una grande capacità di adattamento, riuscendo ad operare in teatri nuovi (nelle missioni out of area), contro soggetti diversi – Stati (es. Deliberate Force), organizzazioni terroristiche (es. International Security Assistance Force), reti criminali (es. Ocean Shield) – e svolgendo compiti differenziati (es. combat, addestramento e assistenza, ricostruzione post-conflitto, interdizione al volo, soccorso post-calamità). Infine, la Nato oltre ad allargarsi fino a ricomprendere gli attuali 29 membri è riuscita a cooperare con un numero crescente di attori – statali e non statali (si pensi alla relazione tra Nato e Unione Europea) – attraverso fitte reti di partnership e cooperazione;
4. Perché al momento sia gli Stati Uniti che i Paesi europei non vedono all’orizzonte alleati migliori o più affidabili. La Nato, infatti, ha dimostrato di costituire un’alleanza credibile non solo dal punto di vista delle capacità, ma anche per quanto riguarda la coesione. Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, tutti gli alleati hanno risposto alla chiamata degli Stati Uniti in conformità all’art. 5 del Trattato sulla “difesa collettiva”.
5. Perché gli Stati Uniti sono in una fase di retrenchment. A seguito della crisi fiscale del 2008, Washington si confronta con quella che Paul Kennedy ha definito “sovraestensione imperiale”, la dinamica per cui una potenza estende i propri impegni economici e militari oltre le risorse a disposizione. In questo senso, la Casa Bianca si è impegnata a ridurre le spese e le responsabilità globali e si aspetta che gli stati membri dell’Alleanza condividano gli oneri (burden sharing) per il mantenimento della sicurezza comune. Per gli Stati Uniti, una posizione di primato è insostenibile in futuro senza il sostegno degli alleati e dei partner transatlantici;
6. Perché gli Stati europei non sono autonomi in termini di sicurezza. La politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc) semmai sarà sufficientemente sviluppata per assolvere a tale funzione lo sarà nel lungo periodo. Inoltre, buona parte degli Stati europei sono disposti a riconoscere la leadership degli Stati Uniti a causa del gap abissale che distingue questi ultimi dagli alleati in termini capacità militari e di proiezione di potenza, tanto che Alessandro Colombo ha definito la Nato come una “alleanza ineguale”. Al contrario, più difficilmente gli Stati europei sarebbero disposti a riconoscere la guida di un’alleanza militare da parte di uno Stato che considerano un loro “pari”;
7. Perché l’Europa è tornata oggi a percepirsi vulnerabile. Negli anni Novanta, nonostante quello che accadeva nei Balcani, il Vecchio continente pensava di essere un luogo sicuro e arrivava a vagheggiare il superamento della guerra come un retaggio della politica internazionale westfaliana. Oggi quell’illusione è caduta e il re è (di nuovo) nudo. La nuova postura revisionista della Federazione Russa, l’instabilità del Medio Oriente e Nord Africa, la bomba demografica africana e gli attentati sferrati dai network islamisti in tutta Europa ne sono la prova più evidente.
Se queste 7 ragioni dovessero continuare a pesare più delle criticità che pur gravano sull’Alleanza e sulle sfide che questa dovrà affrontare in futuro, la Nato potrebbe aver appena festeggiato solo i suoi “primi” 70 anni.