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Il rettore Carlo Alberto Giusti su "Il Giornale" analizza la situazione in Afghanistan

L'Afghanistan tra nuovi talebani e terrorismo: "La 'pace' sarà pagata dalle donne"

28 Agosto 2021

Da Il Giornale

 

Un giudizio double face: "Non ripeteranno gli errori del passato, ma temo non rispetteranno i diritti delle donne". Carloalberto Giusti, rettore della Link University, osserva senza pregiudizi la presa del potere da parte dei Talebani.

Le immagini che giungono dall’aeroporto di Kabul sono terribili. Ci parlano di disperazione, paura, rabbia da parte di chi si sente esposto alla violenza dell’Emirato che si sta per formare e sa di essere abbandonato a se stesso dalla coalizione che finora lo aveva sostenuto, per cui aveva lavorato, che gli aveva dato nuovi spazi di vita (è il caso soprattutto delle donne). Non sappiamo ancora bene quale sia la situazione nelle altre Province già sottomesse da qualche settimana al nuovo potere fondamentalista. Si ricorrono notizie di violenze contro i collaboratori della coalizione filo-americana e contro le donne. Ma c’è anche qualche segno di rispetto delle condizioni di transizione stabilite negli accordi di Doha del 2020: mantenimento della pace, nessuna persecuzione o vendetta... Un leader talebano si è fatto addirittura intervistare in TV da una giornalista afghana, cosa impensabile prima del 2001.

 

Ritiene che possa esserci qualche differenza tra il regime oscurantista, repressivo dei diritti più elementari, condiscendente verso il terrorismo che fu sconfitto nel 2001 e quello che sta assumendo il potere in queste ore? I Talebani sono un po’ cambiati?

In questo momento non abbiamo tutti gli elementi per dire quanto. Le prime dichiarazioni sono improntate all’apertura verso le relazioni diplomatiche con gli altri Paesi, compresi quelli della Coalizione. In questi anni di guerra sono stati eliminati vecchi gruppi dirigenti, a partire dal Mullah Omar, e nuovi se ne sono formati. È impossibile pensare che 20 anni e la guerra non abbiano, almeno in parte, cambiato anche i Talebani. Credo che sia ancora presto per fornire ipotesi certe sulle caratteristiche del loro “governo” per il prossimo futuro.

 

Una cosa però è certa, lAmerica e tutto lOccidente sono almeno mediaticamente in piena difficoltà: dopo le decine di miliardi di dollari spesi per tenere in piedi le forze armate locali e almeno altrettanti per elargire aiuti e supporto alla governance” e alla società civile, sembra rimanerci in mano un pugno di mosche...

Non c’è dubbio. Basta seguire i maggiori media americani di questi giorni, per capire, del resto, il senso della delusione, cogliere la sensazione della sconfitta che attraversa quello scenario politico, nonostante il sostegno che l’opinione pubblica locale ha dato alla scelta, resta forte un retrogusto isolazionista.

 

Ma come è stato possibile? Abbiamo lavorato 20 anni in quel Paese e in pochi giorni gli apparati di governo centrale e locali; lorganizzazione delle Amministrazioni ministeriali e dei governatorati; i sistemi di sicurezza e di difesatutto si è volatilizzato. Dove abbiamo sbagliato?

I maggiori Think Thank passeranno i prossimi mesi a tentare di dare una risposta. Noi stessi, in Link Campus, siamo impegnati in una riflessione che coinvolge i nostri studenti. Per ora mi sentirei di dire, insieme a molti altri commentatori, che non c’è una sola causa. C’è stata negli anni una sensazione di lento abbandono. Di certo il conto dei miliardi di dollari spesi non restituisce chiari ed efficaci risultati di politiche di sviluppo tangibili. La corruzione non è stata adeguatamente contrastata e anzi il modello di aiuti adottato in assenza della costruzione di una robusta e consapevole classe dirigente, ha permesso l’espandersi di una élite capace di arricchirsi con i fondi internazionali.

 

Noi Italiani siamo stati particolarmente impegnati nellarea di Herat e, soprattutto, abbiamo molto contribuito alla definizione di un nuovo rule of law. Abbiamo guidato la riscrittura della Costituzionema ora che bilancio ne traiamo?

Il buon operato del nostro contingente e della Cooperazione italiana ad Herat ha ricevuto ampli riconoscimenti da parte della comunità locale e di quella internazionale. Credo che al momento sia l’intero modello delle gestioni post-conflittuali che vada profondamente ripensato. La duplicazione o il non coordinamento degli interventi; le mancate sinergie che creano sprechi, moltiplicano spese e ingenerano illeciti guadagni, vanno eliminate. Vanno potenziati i programmi di empowerment, sostegno alle capacità di governo e professionali locali, almeno quanto, se non di più, di quelli per infrastrutture: le strutture del nostra paese hanno lavorato a lungo in Afghanistan per programmi di Governance, finanziati dalla Farnesina, ed essi erano numerosi e ben finanziati da ogni Paese della coalizione, tutti coordinati da linee guida internazionali e coordinate con l’intervento operativo statunitense. Bisogna ripensare modalità, organizzazione, tecniche e indirizzi. Ne va del futuro di noi tutti.

 

Cosa succederà ora, dal punto di vista geo-strategico, nella regione? Chi si avvantaggerà tra Cina, Russia e Usa, Europa di quanto sta accadendo? Torneremo ad avere un santuario del terrorismo che minaccerà il mondo?

Non credo che i Talebani ripeteranno l’errore del Mullah Omar, che ospitò Al Qaeda e Bin Laden. Anzi, forse una certa intransigenza su presenza e comportamenti dei molti gruppi della galassia terrorista di ispirazione jahidista, potrà essere la chiave per aprire le porte al dialogo (e ai finanziamenti) di molti Paesi. Cina e Russia, che pure avrebbero motivo di essere preoccupati per un eventuale supporto talebano alle loro minoranze mussulmane, hanno già calato ponti per un futuro dialogo. Mi pare che nessuna delle “Grandi Potenze” ritenga di lasciare spazio alle altre e di rompere i legami con i nuovi leader afgani. Semmai sarà più complesso leggere le mosse delle potenze regionali. Il Pakistan, ad esempio, sarà un sorvegliato speciale per gli analisti che vorranno pronosticare le prossime mosse degli altri paesi dell’area. Ho l’impressione, insomma, che gli effetti geo-strategici della conquista talebana di Kabul non saranno a breve destabilizzanti. Ho paura invece che la “pace” più duratura, anche se non tranquilla, nell’area, verrà pagata all’interno e in particolare dalle donne. La sfida che sento è quella di impedire che la real-politik calpesti i diritti.