Ateneo

L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Giovanni Ghiselli

22 APRILE 2020

di Giovanni Ghiselli

L’Europa per seguitare a esistere culturalmente e politicamente deve continuare a fondarsi sulla propria base umanistica.

“L'uomo che non conosce il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso: il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta vicino, alcuni passi piu in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli piu recenti, il Medioevo e l'antichità.-Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor piu l'orizzonte. Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro"1.

Lo studio dei classici serve ad accrescere la nostra umanità

Perche studiare il greco e il latino, potrebbe chiederci un giovane, a che cosa servono? Alcuni rispondono:" a niente; non sono servi di nessuno; per questo sono belli"2.

Non è questa la nostra risposta. Se è vero che il classico non si asservisce alla volgarità delle mode, infatti non passa mai di moda, è pure certo che la sua forza è impiegabile in qualsiasi campo. La conoscenza del classico potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico. Il greco e il latino servono alle relazioni umane, quindi all’umanità e alla civiltà: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni lavoro non esclusivamente meccanico.

Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana più e meglio di chi non li conosce.

Sa anche pensare piu e meglio di chi non li conosce3.

Sa volere bene e amare più e meglio di chi non li conosce.

Studiando e comprendendo il greco e il latino si diventa più umanisti e più umani. Voglio anticipare qui esempi che fanno vedere con chiarezza la coincidenza e l’identificazione di umanesimo con amore per l’umanità.

Vediamone alcune espressioni

L’umanesimo è prima di tutto amore dell’umanità.

L' Antigone di Sofocle dichiara il suo amore per l'umanità dicendo a Creonte :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), io non sono nata per condividere l’odio ma l’amore.

Teseo risponde "e[xoid j ajnh;r w[n"(Edipo a Colono, v.567), so di essere un uomo a Edipo che gli ha chiesto perché accolga e aiuti lui che è il più disgtraziato e malfamato degli uomini.

E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e diventerà l'humanitas latina.

Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo è quella arcinota di Terenzio:" :"Homo sum: humani nil a me alienum puto"4.

Nell'Eneide di Virgilio, Didone incoraggia i Troiani, giunti naufraghi sulle coste, della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e  diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri autori e dovrebbe esserlo nella scuola :"E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione autentica"5.

Marco Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e filosofo, scrive “: noi siamo nati per darci aiuto reciproco (pro;" sunergivan), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti.

Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin" (Ricordi , II, 1).

La cultura classica sa opporre degli argini all’irrazionale quando questo dilaga e minaccia di stravolgere la civiltà.

E' quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus (1947) : "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (...) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"6.

In La montagna incantata (Der Zauberberg del 1924) il protagonista Hans Castorp interviene in una discussione tra i suoi mentori Settembrini e Naphta dicendo che la scienza medica si occupa dell’essere umano, è umanistica, come giurisprudenza, teologia e arti liberali, poi le discipline del trivio grammatica, dialettica, retorica e quelle del quadrivio, aritmetica, geometria, musica, astronomia..

“Sono tutte discipline umanistiche e quando vogliamo studiarle dobbiamo imparare prima di tutto le lingue antiche, fondamentali

per un approfondimento formale. Io sono un realista e un tecnico ma è una regola eccellente porre a fondamento di ogni professione umanistica l’elemento formale, l’idea della bella forma che conferisce un sovrappiù di nobiltà, di cortesia.” ( Cap. V, Humaniora, p. 381).

Tra Humanismus e Umanesimo “ soprattutto affine è la volontà di far rivivere l’opera classica, la sua eterna vitalità (Umano troppo umano, II, 408), in lotta contro l’assenza di forma, di misura7, il Mablose semibarbaro contemporaneo. (…) E’ essenziale comprendere come l’incolmabile differenza filosofica tra le due prospettive abbia pure un fondamento filologico. Esse però intendono in una chiave opposta la tragedia (…) Per l’Humanismus la tragedia entra ‘armoniosamente’ nell’idea classica di paidea; il suo è il Dioniso della polis, pacificato nell’ambito della comunità, la quale sembra averne dimenticato la tremenda minaccia o illudersi di averla per sempre superata.. Un Dioniso che Platone (…) ha guarito da ogni spaesante dismisura”8.

Parlare male non solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

Lo afferma Socrate nel Fedone :" euj ga;r i[sqi (…) a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene (…) ottimo

Critone che il non parlare bene non è solo un errore, una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

Non saper parlare significa incapacità in ogni campo e soggezione rispetto a chiunque sappia farlo.

Non poter parlare con capacità persuasiva vuole dire , tra l’altro, non essere in grado di contrapporsi ai truffatori astuti, ai demagoghi e, oggi, alla pubblicità.

Pindaro nella Nemea VIII ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso" (v. 24), sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole7.

Non c'è altro tempio della Persuasione che la parola, dice Euripide, personaggio delle Rane di Aristofane che cita un verso del tragediografo: "oujk e[sti Peiqou'" iJero;n a[llo plh;n lovgo" "9.

Chi non possiede la parola in grado di persuadere non di rado ricorre alla violenza.

Pasolini aveva capito che la povertà del linguaggio è una forma di impotenza che prelude alla violenza: "Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano le forme tipiche delle SS: e vedo così stendersi sulle nostre città l'ombra orrenda della croce uncinata"10

Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"

Per essere specialisti in quest’arte bisogna saper parlare in mondo preciso e conciso. Per raggiungere questo scopo ci vuole ricchezza, vastità e proprietà di lingua.

Non è possibile parlare né scrivere bene, con proprietà e concisione, senza conoscere le lingue e le letterature classiche.

“Quanto una lingua è piu ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole per esprimersi, e viceversa quanto e piu ristretta, tanto piu le conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione perfetta. Non si dà proprieta di parole e modi senza ricchezza e vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza proprietà”

(Leopardi, Zibaldone, 1822).

Alfieri cercava di trovare per i suoi drammi “un fraseggiare di brevità e di forza”, traducendo “i giambi di Seneca” (Vita, 4, 2).

Quintiliano: “densus et brevis et semper instans sibi Thucidides (Institutio oratoria, X, 73).

Succede del resto, sebbene di rado, che la quantità anche molto grande non infici la qualità. Questa del resto necessita comunque della conoscenza dei classici.

Sentiamo un famoso confronto tra Shakespeare e Sofocle: “Effetto della quantità. Il più gran paradosso della storia della poesia è che uno possa essere, in tutto ciò che forma la grandezza dei

poeti antichi , un barbaro, cioè difettoso e deforme dalla testa ai piedi, e rimanere tuttavia il più grande poeta. Così è infatti per Shakespeare, che, paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo piu nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo. Ma la quantità, nei suoi massimi potenziamenti, agisce come qualità. Ciò torna a vantaggio di Shakespeare"12.

Non dimentichiamo però che Shakespeare se era “un barbaro che era non privo di ingegno”13 leggeva tuttavia gli autori latini e Plutarco tradotto dal Thomas North.

“La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte).

L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”14.

Come l’immagine onirica, la parola del poeta è costituita da una condensazione.

La conoscenza dei classici è conferisce il sicuro possesso della parola che è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare, Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123 - 124).

Kierkegaard cita questi due versi nel Diario del seduttore (7 giugno).

Nei versi precedenti Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare l'inevitabile decadimento fisico della vecchiaia: "Iam molire animum qui duret, et adstrue formae: /solus ad extremos permanet ille rogos. /Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit et linguas edidicisse duas"

(Ars amatoria II, vv. 119 - 122), oramai prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue15. Bologna 22 marzo 2020. Giovanni Ghiselli

 

 

1 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Tomo II, 299.

2 Il greco e il latino, la religione e la matematica “Erano-e l’insegnante lo faceva notare spesso-del tutto inutili apparentemente ai fini degli studi futuri e della vita, ma solo apparentemente. In realtà erano importantissimi, più importanti addirittura di certe materie principali, perche sviluppano la facolta di ragionare e costituiscono la base di ogni pensiero chiaro, sobrio edefficace” (H. Hesse, Sotto la ruota (del 1906), p. 24.

3 Vittorio Alfieri nella sua Vita (composta tra il 1790 e il 1803) racconta di avere impiegato non poco tempo dell’inverno 1776-1777 traducendo dopo Orazio, Sallustio, un lavoro “piu volte rifatto mutato e limato…certamente con molto mio lucro si nell’intelligenza della lingua latina, che nella padronanza di maneggiar l’italiana” (IV, 3).

5 E. Morin, La testa ben fatta, p. 49.

6 T. Mann, Doctor Faustus, capitolo 2

7 Cfr- Orazio:"est modus in rebus, sunt certi denique fines,/quos ultra citraque nequit consistere rectum " (Satire , I, 1, vv. 106-107), c'è una misura nelle cose, ci sono limiti definiti

8 M. Cacciari, La mente inquieta, saggio su l’Umanesimo, caitolo primo Humanismus o Umanesimo?, p. 12)

9 Rane, v. 1391. Euripide, in gara con Eschilo, cita e pone sulla bilancia questo verso della sua Antigone , per noi quasi tutta perduta (fr. 170). Il peso maggiore però è del verso di Eschilo (fr. 279) al centro del quale si trova Qavnato~ (Rane, v. 1392). Dioniso, che fa da giudice, infatti dice che la morte è baruvtaton kakovn (1394), il guaio più pesante; Peiqw; de; kou`fovn ejsti kai; noun` oujk e[cwn (v. 1396), la Persuasione invece è leggera e senza pensiero. Snell difende Euripide dagli attacchi di Aristofane utilizzando una nota tratta dal Diario di Goethe che alcuni mesi prima della morte scriveva:"Non finisco di meravigliarmi come l'elite dei filologi non comprenda i suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane. (...) Ma c'è forse una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di porgergli le pantofole?" B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Aristofane e l’estetica, capitolo settimo, p. 189..

10 Scritti corsari, p. 187.

11 Lettera a una professoressa , p. 95.

12 " Nietzsche, Umano, troppo umano II, Parte prima. Opinioni e sentenze diverse, 162

13 Manzoni, I promessi sposi, cap. VII

14 Hilman, La forza del carattere, p. 70.

15 Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo trascurare le altre.

 

 

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