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L'ESISTENZA DELL'EUROPA - Il contributo di Marita Langella

26 MARZO 2020

Pensieri su una Europa in divenire 

di Marita Langella

In questo momento storico in cui un nemico subdolo e invisibile, che non conosce confini, etnie e nazionalità, sembra minare le prerogative fondanti delle nostre esistenze, l’Unione Europea si trova in visibile affanno.

Ma è proprio in momenti in cui spinte centrifughe richiedono un’attenta lettura, che quanto più le divisioni sono preponderanti, che tanto più ci si appella al bisogno di unità.

La globalizzazione professata, cifra fondante della modernità, non può che suggerire un vivere comune che non soccomba ai sentimenti disgreganti.

I Padri del progetto fondativo dell’ Europa, De Gasperi, Schuman, Adenauer, erano uomini mossi da visioni alte su cui fondare il processo comunitario,  una concezione antropocentrica, in cui l’uomo non si limitava a essere un individuo ma, in primis, una persona.

Risulta quanto mai moderno il pensiero di Platone il quale scriveva che solo la cura dell’anima e della dignità umana, impronta di Dio, può guidare un sentire comune e rispettare il volto di ogni popolo.  In nome di una identità che non significa esclusione ma viatico per una sana integrazione sostenuta da una parola “comunicante”.

E, invece, nel quadro occidentale intriso di individualismo esasperato, esaltazione di una razionalità assolutizzata e impoverente, l’uomo è diventato mero individuo svuotato del “rango” di persona. Le società umane si disgregano allontanandosi da una condivisione di scelte e destini, per scomporsi in tanti piccoli punti. Fuorviati da una libertà insensata che nega la persona.

Al centro della riflessione non può che esserci l’uomo, da cui ripartire per riflessioni lungimiranti. Essere europei non può che significare apertura verso gli altri, partendo dall’unicità delle nostre storie e radici fondanti. Soggettività dialoganti in grado di trovare nel conflitto una spinta costruttiva verso la communitas.

Il rischio è quello di rimanere stretti in un perimetro geografico, senza valorizzare l’elemento spirituale e culturale. È invece dal rilancio di una soggettività dei popoli che il particolare può relazionarsi all’universale con consapevolezza, anelando a scenari dinamici e virtuosi.

Solo in questa ottica, forse, si può tornare ad affrontare questioni mai superate, come le diseguaglianze, le ingiustizie, le violenze, le violazioni dei diritti umani, l’instabilità e gli squilibri di un sistema finanziario sclerotizzato su logiche avulse dai bisogni reali. Per non parlare dei conflitti etnici, culturali, sociali e religiosi, eredità di un mondo bipolare post - bellico che riaffiorano carichi di quell’ideologia totalizzante e spietata.

Mentre la storia ci insegna che solo gli uomini che sanno guardare oltre il muro hanno il potere di abbatterlo.

 

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